lunedì 31 dicembre 2007

Cosa significa "difendere" la famiglia?

In difesa della famiglia borghese. Questo il titolo (molto esplicito) dell'edizione italiana di un libro scritto nel 1983 da Peter Berger (uno dei maggiori sociologi USA) assieme alla moglie Brigitte (in realtà il titolo in lingua inglese suonava The war over the family, ma l'editore italiano non ha tradito le opinioni dei Berger adottando un titolo che in modo più esplicito "prende posizione"). Ancora oggi il tema della difesa della famiglia ricorre spesso nel dibattito pubblico e non solo da parte di esponenti della Chiesa (l'ultimo, in ordine di tempo, è il messaggio di Benedetto XVI all'Angelus del 30 dicembre 2007: "la Chiesa è impegnata a difendere e promuovere la dignità naturale e l'altissimo valore sacro del matrimonio e della famiglia"). Da tempo siamo consapevoli che anche la famiglia fa parte di quei "beni" che, come nel caso dell'ambiente, il processo di modernizzazione delle nostre società mette in pericolo. Il normale caos dell'amore (bellissimo libro di Ulrich Beck, anch'esso scritto assieme alla moglie, anche se di sensibilità politica opposta rispetto ai Berger) ricorda, ad esempio, che l'unità famigliare più funzionale rispetto alle esigenze del moderno mercato del lavoro è quella "unifamiliare", ovvero dei single, visto che, non avendo legami (né figli), essa consente di garantire il massimo di adattamento alle esigenze dell'impresa (turni, mobilità, flessibilità quando serve all'impresa, ecc.). Anche qui - e forse, soprattutto qui - la famiglia ha bisogno di essere difesa dalle pretese degli altri sottosistemi della società (in primis da quello economico). Ma il tema della difesa della famiglia, per quanto importante (dopo entrerò un po' in dettaglio), corre il rischio di lasciare in ombra un altro aspetto ugualmente importante che è quello dell'aiuto che alla famiglia occorre garantire affinché cambi, ed in particolare affinché cambi nella direzione di una maggiore eguaglianza od anche equità di trattamento ai suoi membri (ed in primo luogo ai membri della coppia). La famiglia, insomma, non è solo da difendere (in alcuni aspetti), ma è anche da aiutare ad evolvere (in altri). Non solo "conservazione" dell'esistente, insomma! E' chiaro che il riferimento è al lavoro (domestico), a quello professionale, ed alla conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita. In Italia, come nella maggior parte dei paesi occidentali, le donne lavorano più degli uomini (se consideriamo tutte le attività lavorative, pagate e non, le italiane lavorano in media, al giorno, un'ora e un quarto più degli uomini). Lo fanno senza essere pagate, nella cura della casa e dei famigliari. E quando lavorano per un salario troppo spesso sono costrette, dalla mancanza di sussidi e servizi, a rinunciare ad avere figli (o ad averne in misura inferiore a quanto desiderato). Questa è una disuguaglianza inaccettabile e che richiede un più deciso intervento pubblico: un nuovo disegno di legge sui congedi parentali è stato approvato a fine 2007 dal Consiglio dei Ministri; servono più risorse per gli asili nido (ed in effetti il governo ha stanziato per la prima volta, sia nel 2007 che nel 2008, oltre 100 milioni di euro per gli asili nido); serve promuovere una cultura dei diritti delle donne nelle imprese oltre ad una cultura più egualitaria degli impegni nella coppia. Elementi per una riflessione su questi temi sono ampiamente disponibili. Io segnalo gli autori che collaborano a lavoce.info (tra cui Chiara Saraceno, sociologa, probabilmente il massimo esperto di politiche familiari in Italia).
Per tornare al tema della "difesa" della famiglia (un tema oggettivamente impegnativo anche per il Partito Democratico, stante le diverse sensibilità presenti al suo interno) io ritengo che vi siano alcuni punti fermi da cui partire. In primo luogo mi sembra ragionevole riconoscere come auspicabile che laddove una coppia si forma questa sia disposta ad affermare pubblicamente il vincolo di coppia con un rito, religioso o civile che sia. Possiamo concordare sul fatto che, dal punto di vista della società, un impegno "pubblico" è meglio? Che il formarsi di una coppia non è solo un fatto privato? Detto questo penso che vada riconosciuto come normale la variabilità dei percorsi tramite cui si arriva a ciò: in alcuni casi il percorso sarà quello tradizionale (ci si sposa, si va a convivere, si fanno figli), in altri sarà un percorso diverso (si convive, si fanno figli, ci si sposa), come avviene nell'Europa del Nord e centrale. In ogni caso trovare il modo affinché il momento dell'impegno pubblico sia "enfatizzato" mi sembra socialmente preferibile (e ciò può avvenire senza intaccare i diritti individuali). Per ora limitiamoci a questo (è poco?). Certo rimangono altri aspetti complessi qui non affrontati. Magari in un prossimo post ...

PS. Segnalo che proprio come gruppo consiliare DS abbiamo sollecitato l'amministrazione comunale a potenziare l'offerta per l'Asilo Nido, cosa che effettivamente è avvenuta a settembre 2007. Una maggiore dotazione di risorse, per 70.000 euro, ha infatti consentito di aumentare i posti disponibili nei tre asili nido vignolesi e di accogliere larga parte di coloro che erano risultati in lista d'attesa al momento delle iscrizioni. Proprio su questo impegno per i servizi per l'infanzia gli enti locali non vanno lasciati soli: occorrono risorse statali per coprire in parte i costi di gestione. Oggi un bambino all'asilo nido costa circa 7.000 euro all'anno, di cui 2.000 sono (mediamente) pagati dalla famiglia. E il resto? A carico del bilancio comunale.

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